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demmo, in altro occupato; ed erra ancora nell’attribuire a quell’anno avvenimenti accaduti nel 1672 e nel 1674, dai quali ultimi appunto si ritrae il tempo in cui egli attendeva a quell’opera. In essa trovasi incidentalmente nominato il 1677, e sarà da credere, col Grassi, ad una giunta fatta in quell’anno, quando, forse per la prima volta, presentava il suo lavoro all’imperatore; non altro infatti ivi è ricordato circa cose accadute dopo il 1674. In quell’opera, tessuta la storia delle molte rivoluzioni alle quali andò soggetto quel reame, insino a quella che costò la vita al Nadasdi e a’ suoi complici, da esse deduce, che a tener a freno quel popolo turbolento, occorrono severe norme: ed appunto in questo libro, come altrove notammo , le vien egli proponendo. Tra queste, seguendo l’esempio che ne lasciarono i romani, proponeva si facesse un deserto tra l’Ungheria e le terre dei turchi, per tor modo a questi ultimi di mescolarsi nelle cose di quel regno, e agli ungheri di ricorrere ad essi, come più volte avevano fatto. Poneva però come condizione, che si fosse ridotti al punto “o di lasciar il paese all’accrescimento delle forze nemiche, o di disertarlo”. A questa opinione tardi si accostò, avendo noi esposto più addietro, che, allorquando combatteva egli in Ungheria, la reputava dannosa, anziché utile. Il mutamento d’idee lo trasse allora a scusare le recenti devastazioni, con un scopo consimile, da Turenna ordinate; non avvertendo per altro, che con quelle i francesi miravano ad assicurarsi il possesso dei territorii alemanni d’oltre Reno, alcuni de’ quali, come Strasburg, erano tuttavia liberi; e che invece i turchi, da lui medesimo detti sobrii, e sempre ben provveduti di viveri dal loro governo, e usati del rimanente a passar deserti ne’ viaggi loro in Asia, e a valersi di cammelli, non sarebbero stati, come i cristiani, trattenuti dal venire in Ungheria da deserti europei,