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rebbe opportunissimo, di non porre cioè in pubblico a lor difesa i segreti di stato, i difetti dell’esercito, e la debolezza e la negligenza di qualche ministro, il che porta più danno che utile. E soggiungeva: “Ma tutti non hanno il dono della beatitudine di san Matteo”, citando ivi il passo del Vangelo che dice: “Beati qui persecutionem patiuntur propter justitiam”. Agl’indugi che, sebbene a torto, anche nella spedizione dell’Ungheria gli si rimproverarono, aveva egli nel cap. III, del primo libro degli Aforismi dato risposta, citando l’esempio di Fabio Massimo, del quale infatti qualche storico lo disse imitatore. Delle opposizioni incontrate da Montecuccoli tenendo parola il Foscolo, scriveva: “La ragione e l’equità non sarebbero forse state bastevoli a giustificarlo, se l’esito non lo avesse fatto trionfare a malgrado degli emuli”. Coloro intanto che avevano più a cuore le fortune dell’impero, vivevano in ansietà per questo scatenarsi delle passioni contro il solo uomo che potesse competere con Turenna e salvare la Germania. Il conte Arese, uno di questi, scriveva il 10 di gennaio del 1674: “Per quiete e buona regola dell’esercito cesareo sarebbe di gran vaglia il ritorno del conte Montecuccoli all’esercito”; e il 14 di febbraio, quasi profetizzando, diceva: “Se Montecuccoli non assisterà all’esercito questo caderà in languidezza, e il far mercede ad un signore di tanto merito egli è un atto di tutta giustizia”, e questo vie più per aver esso precedentemente annunziato, che si era il Montecuccoli con molta sodezza giustificato intorno a quanto i nemici suoi gli apponevano a colpa. Ma non si dettero questi per vinti, e molta amarezza lasciò quella controversia dietro di sé, e fu probabilmente una delle cagioni che indussero, come diremo, quel generale a non accettare di riprendere il comando, insino a che la futura campagna non avesse posto in mostra ciò che altri sapesse fare. Riprese egli invece la presidenza del consiglio aulico di guerra; e l’autor francese dell’opera Estat présent des affaires d’Allemagne, edita l’anno a questo successivo in Lione, scriveva allora che egli vi godeva molto credito, e che la grande estimazione in cui l’imperatore teneva i consigli di