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uscì papa Urbano VIII. Non dimenticò egli nel testamento suo quella famiglia, essendo che di duecento scudi d’oro gratificasse il conte Massimiliano suo familiare , e una pensione di cento scudi annui assegnasse al giovinetto Raimondo che seco, come si ha da un manoscritto della Magliabechiana, aveva egli condotto a Roma in officio di paggio, da percepirsi sui redditi della parrocchia di Novi, a norma della facoltà ottenutane dal papa. Ma questo legato che faceva il paio con altro di 50 scudi dal cardinale assegnati al suo guardaroba, impediva si trovasse chi all’officio allora vacante aspirar volesse di parroco di Novi. L’assunse poi con segrete speranze un don Santi, o Chianti, come anche è detto, che tosto ricorse al duca Cesare per liberarsi da quell’onere: e poiché non fu ascoltato, andò a Roma sperando nell’efficacia di certa gherminella da lui immaginata, che consisteva nel far credere al papa avesse bensì il cardinale da lui ottenuto d’istituire quel legato, ma non fosse poi stata nominata la persona cui conferirlo. Se non che la cosa non gli riescì, giacché caldamente s’adoperava il duca Cesare, mercé Fabio Carandini e Francesco Mantovani segretario di lui e procuratore, in favore di Raimondo, dalla contessa sua madre con vive istanze raccomandatogli. Lungo fu il contrasto; ma finalmente l’ultimo giorno di quell’anno fu la pensione consentita a Raimondo, difalcati però dalla medesima 30 scudi annui che la dateria romana volle tenere per sé . Rimasero pertanto al legatario 70 scudi romani equivalenti a 90 di Modena. Perché poi quel futuro maresciallo avrebbe dovuto per cagione di quel beneficio assumere vesti ecclesiastiche; e già aveva più mesi innanzi il Cardinal Garcia conceduto la facoltà di tonsurarlo, com’è detto in un documento dell’archivio di sua famiglia; gli ottenne il buon Cesare che per due anni goder lo potesse in abiti secolareschi: ma allorché nell’anno successivo (1626) il duca pregò che del tutto rima-