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si desse a far bottino innanzi che l’esercito fosse padrone del campo. E su questo particolare dell’appropriarsi le cose altrui e della disciplina (ove qualche grande necessità, e specialmente la mancanza dei viveri non scusava il soldato) fu sempre severissimo il Montecuccoli. Narrasi di lui, che durante questa guerra d’Ungheria facesse consegnare al profosso un soldato, che, contro l’ordine espresso di lui, era entrato in un campo di biade. Non ancora colui disarmato, avendo invano allegato ignorare quel divieto, esclamò: non son reo, ma lo divengo; e sparò il fucile contro Montecuccoli, che rimasto illeso, ebbe la generosità di perdonargli. In quella sua istruzione che dicemmo, veniva inculcato ai capitani d’infiammare con animate parole l’animo dei soldati, ed altre disposizioni si davano per assicurare il buon esito della battaglia. Giungeva frattanto al campo, secondo narra Priorato, un tal capitano Gallo pistoiese (forse della famiglia di quel colonnello Gallo da noi nominato, che nel 1646 rimase ucciso nella battaglia di Frankenberg); il quale, caduto già in man dei turchi a Vesprim, e fattosi maomettano, veniva allora dal quartier generale del gran visir. Costui, che non altro attendeva forse se non l’occasione di poter tornare tra cristiani, allorché si trovò averli vicino, passò il fiume, e volò a dar conto al Montecuccoli di quanto designava fare il gran visir; e gli narrava che questi era più che mai risoluto a voler correre sopra Vienna, dopo avere colla moltitudine della sua gente schiacciato l’esercito di Montecuccoli , di gran lunga inferiore al suo, trovandosi scritto essere stati i turchi a San Gottardo circa novantamila contro trentamila cristiani . Di questi erano più specialmente soggetti al generale supremo gl’imperiali dei due corpi, che in provincie di-