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ne’ paesi pe’ quali passavano, li faceva per altro l’imperatore sorvegliare, narra il Cantù, perché, come scrisse già lo storico ungherese Gebhardi, temeva s’unissero ai turchi. Ai quali sospetti accennò il Montecuccoli in quella relazione della battaglia di San Gottardo, edita recentemente nell’Archivio storico italiano (anno 1847), nella quale queste parole si leggono “... I Francesi han contribuito molto a questa vittoria; né so come gli Alemanni potranno più dubitare della loro sincerità”. Aveva cercato il Montecuccoli di far soldati anche in Italia, ove molti erano a quel tempo vaghi di avventure e di guerre, colà mandando Max (Massimiliano) Piccolomini, quello per avventura (se non fu Silvio, altro nipote del generale), al quale lo Schiller con felice invenzione poetica assegnò, come dicemmo altrove, nel suo poema drammatico Wallenstein, una parte così nobile e commovente.
E’ bello tener dietro al Montecuccoli, allorché negli Aforismi, giorno per giorno, racconta i tentativi che venivano facendo i turchi per passare quel fiume Raab, il varco del quale riesciva sempre ad impedire. Finalmente il dì 30 di luglio entrambi gli eserciti l’uno a fronte dell’altro ristettero, occupando gl’imperiali Moggendorf e San Gottardo , dividendoli dal nemico il fiume; e turchi e cristiani dettero opera ad offendersi colle artiglierie. Assegnò Montecuccoli a ciascun corpo il luogo che nella battaglia occupar doveva; sulla destra le truppe cesaree, delle quali il marchese Pio generale di battaglia comandava l’ala sinistra; i collegati a sinistra coi francesi: le soldatesche dell’impero, come più deboli ed inesperte, furono collocate al centro. Un’istruzione divisa in 14 capi e che venne distribuita agli ufficiali superiori, indicava le norme che seguitar si dovevano se si venisse a battaglia campale, come era ormai inevitabile; la quale istruzione il Montecuccoli inserì ne’ suoi Aforismi. La pena di morte era indetta a chi, al momento della battaglia, non si ritrovasse nel luogo assegnatogli, e a chi