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dovesse ad Anna vedova e incinta il provvedere, poiché immaturamente le venne meno il marito, alle necessità del momento, come nondimeno le riescì di fare, traendo buon pro dalla protezione che della sua famiglia assunsero i principi estensi. A lei un officio aulico fu dato presso la principessa Giulia figlia del duca, la quale dal padre impetrò tosto che Massimiliano, uno de’ figli di Galeotto non maggiore di otto anni, venisse accolto fra i paggi della corte. Il cardinale Alessandro fratello del duca, a minorare alla contessa i pensieri e i dispendii, presso di sé chiamò i figli suoi più grandicelli, tra i quali Raimondo, seco traendoli poscia a Reggio, quando nel 1621 fu eletto vescovo di quella diocesi. Dell’educazione di questi giovinetti il cardinale con affetto di padre assiduamente si occupò: de’ buoni portamenti loro dava esso di tratto in tratto contezza alla madre, non che del profitto che, secondo si ha dalle sue lettere, venivano essi facendo nella virtù; e qualcuno della sua corte inviò talora a darle più distinti ragguagli intorno ai medesimi. Alcuna fiata i figli stessi le mandava a Modena, ed essa una volta nel restituirglieli scriveva esser questi i più cari pegni che offerir gli potesse della devozione sua. E ancora per una figlia di lei ebbe ad adoperarsi il cardinale; ma non corrispose l’esito alle speranze concepite, che ignoro quali fossero. In tutte le necessità sue del rimanente aveva ricorso la contessa al cardinale come, ad esempio, allora che colla sorella ebbe a partire l’eredità materna; e quando la sua dote che era costituita in beni stabili, dal marito in appresso venduti, volle, per consiglio della principessa Giulia d’Este, le venisse in altra forma assicurata, acciò intera avessero i figli a ritrovarla, lei morta. E con questi fece poi essa una convenzione nel 1622 che ci è indicata in un elenco dei documenti dell’archivio Montecuccoli. Perdeva quella famiglia la notte del 13 maggio dell’anno 1624 un tanto amorevole mecenate suo qual fu il cardinal d’Este, essendo esso, secondo al duca scriveva Fabio Carandini suo ministro residente in Roma, venuto a morte in Tivoli, ove cercava tregua ai malori contratti durante il conclave dal quale