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deburghesi stati da quelle parti, senza dubbio perché loro evitasse angherie militari. Assevera egli che nulla volle per sé, ma accettò il denaro per la cassa di guerra sempre malamente provveduta dai ministri imperiali, mentre soleva egli dire: tre cose a far la guerra occorrevano, denaro, denaro, e poi denaro: sentenza riferita anche dal Menzel nella sua Storia della Germania, aggiungendo che Montecuccoli sapeva poi usar quel denaro per riportar vittorie. Opinò invece Machiavelli, non il denaro, ma il ferro procacciare in paese straniero la vittoria: sentenza troppo assoluta, e ancora crudele, essendoché soldati d’ogni cosa sprovveduti tornerebbero doppiamente infesti ai paesi ove entrassero. Né poi senza il denaro le cose occorrenti per uscire in campagna si potrebbero provvedere. Di denaro e di ferro è mestieri e questo intendeva dire il Montecuccoli.
Coll’animo affranto per veder sfuggirsi dinanzi lo sperato ingrandimento del suo regno, e per le patite sconfitte, e con abbattute le forze per le durate fatiche, infermavasi all’aprirsi del 1660 il re Carlo Gustavo, e la notte fra il 21 e il 22 di febbraio, secondo scrisse Montecuccoli da Parchaim al principe Mattia (il 13 di febbraio disse il Carlson, e il 7 Voltaire nella Storia di Luigi XIV) terminava i suoi giorni. Con esso finiva quel glorioso periodo di Gustavo Adolfo, di Cristina e di lui, che ad una monarchia né ricca, né dominante sopra numerosi popoli, aveva dato fama superiore a quella di alquante più floride nazioni . Non lasciando egli se non un figlio di quattro anni, cercò Cristina di riprendere lo scettro volontariamente abbandonato, ma il suo mutamento di religione le fece ostacolo. E qui ci narra lo Stom, che, trovandosi Raimondo nel settembre a non molta distanza da lei che era allora in Amburgo, andò a visitarla; e di lei scriveva poi da Brome il 7 di ottobre: “La regina Cristina è stata ricevuta a Copenhagen con grandi onori