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noscesse. Fu dunque in quest’anno che gli venne fatto di mandar pago il suo desiderio di vedere quella singolar donna, e insieme con lei intertenersi, per meglio considerarne le doti dell’animo, e le molteplici cognizioni con pazienti studi acquistate.
Con lettere del 5 e del 7 di gennaio 1654 al principe Mattia e al duca di Modena, Raimondo scriveva da Berlino trovarsi per alcuni affari in quella città, donde passerebbe in Svezia, “per approfittare della bontà che gli usa la regina” secondo all’estense diceva, e poi in Danimarca. E perché non si prefiggeva, come a Mattia significava, di vedere in que’ paesi se non i porti di mare, le armate navali e le corti, sperava che, usando diligenza nel viaggio, potrebbe dopo due mesi restituirsi alla corte imperiale. Gli affari che aveva esso a Berlino risguardavano, come in una successiva lettera aggiunse, “certe pretensioni che doveva trattare con quell’elettore”, le quali l’avevan fatto partire d’improvviso a quella volta. Andò poscia da prima in Danimarca, come appare da una lettera che dalla capitale di quel regno indirizzava il 24 di gennaio al principe Mattia, nella quale diceva aver già veduto quanto di più raro colà si trovava. A quel re si presentò per un incarico che dato gli aveva Mattia circa “li quartieri nello Siefft di Brema”; con che non so a qual cosa alludesse; affermava essere stato accolto benissimo, e ricolmo di favori: e annunziava prossima la sua partenza per la Svezia, dove lo accompagnò, secondo vedremo aver egli scritto, il conte Enea Caprara. Dal Priorato e da altri storici si ha che, non come privato, ma andasse egli in Svezia come inviato imperiale “per ratificare, dice il primo di quegli scrittori, la buona corrispondenza e insieme la franchigia di un reciproco commertio” coll’impero. E non solo per questo era mandato colà, ma per ben altro! Daniele Wisther, addetto alla legazione inglese a Stokolm, in una lettera del 18 di febbraio 1654 scriveva, essere più che probabile cercasse l’imperatore d’iniziar pratiche di matrimonio tra Ferdinando suo figlio, al quale aveva Cristina consentito nel precedente anno che si desse il titolo di re dei romani, e la regina stessa; il qual re poco di poi nell’età di 21 anno fu dal vaiuolo tratto a morte. E sperava