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di età, quella stessa che nella Parte prima avemmo occasione di ricordare. Due tra le diverse lettere nelle quali fu codesto negozio ventilato, mi accadde di vedere nell’archivio estense; ed in una di esse in cifra, del 23 di marzo del 1650, teneva parola il duca di due partiti, ai quali doveva avergli accennato Raimondo. Non opportuno all’uopo suo gli sembrava l’arciduca Sigismondo, uno de’ proposti, perché cadetto di famiglia, e perché ancora si supponeva che mirasse a sposare una Farnese; e quanto all’altro, che avrebbe senza più contentato il duca, ed era il figlio del palatino di Baviera, col quale corsero in effetto trattative ricordate dal Muratori, sospettava esso duca, potesse fidanzarsi ad una principessa di Savoia. La seconda lettera è in una minuta non firmata, e serve di commento a quella del duca, esponendo le qualità fisiche e morali della principessa, che vien detta “di statura conveniente che in breve potrà dirsi grande, di volto bellissima per aria e lineamenti e per una colorita bianchezza”. Lodati poi gli occhi e la bella disposizione del rimanente del corpo, soggiunge lo scrittore, che della qualità dell’anima, non potendo mai a bastanza encomiarle, si astiene dal tener parola. Ma nonostante un quadro così lusinghiero, né a quel tempo, né insino all’età sua di 29 anni, venne fatto a quella principessa di trovar marito. Sposò essa allora Ranuccio Farnese duca di Parma, e tre anni appresso morì di parto. Né miglior ventura due anni di poi incontrò Raimondo, di nuovo sollecitatore di matrimonii. Aveva egli trovato per servigio del duca di Modena un ingegnere di nome Nicola Blois; e il duca di ciò ringraziandolo, usciva a dire: essere venuto a sua conoscenza che l’imperatore Ferdinando fosse in desiderio di passare alle terze nozze, e che inclinerebbe a prendere in isposa una principessa italiana; e soggiungeva: “V. S. sa che in questa casa ce ne sono, e noi possiam dirle che non sono inferiori a qualunque altra”; i ritratti porrebbero in chiaro le doti delle persone, e pel rimanente esso duca “s’avanzerebbe a fare, per così dire, oltre il possibile”, e finiva dicendo: “ciò le basti”. Ma o non giungesse in tempo Raimondo a fare proposte, o non ne trovasse il modo, ovvero fossero nell’imperiale aspirante più