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che i biografi di lui raccontano, dell’averlo essa posto a parte del segreto suo disegno d’abdicare, il quale incominciò ad esser noto in Svezia nell’ottobre del 1651, allorché se ne aprì essa al senato che da ciò la dissuase. Mentre però credevasi che a questo più non pensasse, la persistenza sua in quel disegno ebbe essa a fare nel successivo anno manifesta ad Antonio Pimentell, andato ambasciatore della Spagna alla sua corte, e per mezzo di lui al suo re. E di questo veniva informato Raimondo dal ministro suo a Vienna (senza dubbio per ordine di lei), come scrisse egli stesso al duca di Modena. Ché se non aggiunse di aver avuto precedente cognizione del progetto che la regina andava meditando, e nel quale tuttavia persisteva, ben poté farlo per non tradire un segreto confidatogli, ristringendosi a riferire le cose comunicategli dal ministro svedese. Narra poi l’Arckenholtz, che il primo ad indovinare, quando ancora non era palese, ciò che stava Cristina progettando, fosse lo Chanut, in quel tempo ambasciatore della Francia presso di lei, e ne fu allora discorso tra essi: tanto deducesi da una lettera da lei indirizzatagli nel 1654 che Voltaire pubblicò nella sua storia di Luigi XIV, ove dice esser ella venuta allora a quella determinazione (di abdicare), dopo avervi pensato otto anni. “Sono almeno cinque” soggiungeva “ch’io v’ho comunicato questa risoluzione”. E intorno a codesto argomento avremo tra non guari a nuovamente intertenerci.
Era reduce a Vienna il Montecuccoli la notte precedente il 18 di febbraio del 1650, secondo che scriveva il Parenti, il quale lo stava ansiosamente aspettando per riprendere insieme con lui a trattare delle cose di Correggio, mandate innanzi nel frattempo tra esso Parenti ed il Torresini. Essendo poi occorso caso pel quale doveasi prestar giuramento, e non ritenendosi diplomaticamente per valido quello di lui perché monaco, di questo fu dato incarico a Raimondo, il quale rispose lo farebbe se gliene desse facoltà l’imperatore, che crediamo l’avrà concessa. Ma un altro più geloso affare a lui veniva, nel suo ritorno a Vienna, affidato dal suo sovrano naturale, quello di maritargli una delle sue figlie, Isabella cioè, che non contava ancora 15 anni