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alla patria sua che stava per entrare in guerra. Per le paghe di questi ultimi il conte Alfonso, in sul partire da Vienna, lasciò mille scudi al Torresini . Se grave riesciva a Raimondo il veder troncata la via al compimento del desiderio suo di ritornare stabilmente in Italia, non può negarsi che alla ripulsa ch’egli ebbe, non sia dovuta la gloria singolare alla quale ei salì nelle successive guerre. Furono veramente quelle contro i turchi e i francesi, dov’ei tenne il supremo comando, che così alto levarono il nome di lui, da oscurare quello de’ generali che l’avevano preceduto nella direzione delle truppe imperiali. Se Raimondo fosse ritornato in Italia allora che così vivo ne mostrava il desiderio, e coll’intenzione di non più allontanarsene, cospicua parte avrebbe preso senz’altro alle guerra nelle quali fu involto in sin che visse il duca Francesco I d’Este. Ma questo principe che non poteva mettere in campo se non scarse soldatesche proprie, benché decorato del titolo di generale supremo delle truppe straniere che formavano il nerbo degli eserciti combattenti in Italia, non poteva nelle fazioni di guerra procedere ad arbitrio suo, dovendo dipender dalle voglie de’ più potenti di lui. Accadde in effetto che il più delle volte i progetti suoi trovassero ostacolo nella corte e ne’ ministeri del suo alleato, e persino ne’ generali stranieri a lui sottoposti. Avrebbe pertanto Raimondo quelle contrarietà medesime incontrate che maggior messe di gloria gl’impedirono di raccogliere nella guerra di Castro. Può supporsi altresì che a lui, da più anni soldato dell’imperatore, il mutarsi in sostenitore dei disegni della Francia, ostili alla casa d’Austria, non dovesse riescire né agevole, né gradito. Spento poi colla morte di Francesco I il genio guerriero degli Estensi, che non doveva se non nel secolo successivo dare qualche lampo di luce per opera del duca Francesco III, sarebbe forse cessata la vita guerresca di Raimondo che, già onorato de’ gradi più elevati e con fama