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sua famiglia che nominammo. Il comando delle armi nella Slesia fu allora da lui ceduto al marchese Luigi Gonzaga.
Mentre ch’egli si tratteneva in Ungheria presso l’arciduca Leopoldo, il Turenna, ricevuti considerevoli rinforzi di truppe assiane e francesi condottegli dal Condé, e degli svedesi di Königsmark, riesciva, come dicevamo, il 5 di maggio a Nordlingen a prendersi la rivincita della rotta di Mergentheim. Una sanguinosa battaglia fu quella, nella quale con tremila de’ suoi rimase ucciso Mercy poc’anzi vincitore, e prigioniero con altri mille e trecento austro-bavari il general Gleen, che fu poi cambiato col maresciallo Grammont. Ma perché i francesi, che mille ottocento uomini avevano lasciati sul campo, non poterono giovarsi più oltre delle truppe degli alleati, destinate ad altre imprese, non ebbero poi modo di ritrarre da quella vittoria i vantaggi che ne speravano, avendo anzi dovuto, siccome diremo, ritirarsi al Reno nel successivo settembre . Ma in non men trista condizione, specialmente per difetto di denari, trovavasi l’imperatore, che spedì allora in Italia il Leslie acciò vedesse di procacciargli alcun sussidio dai principi italiani, dal papa singolarmente, del quale si avevano precedenti promesse: e presso di lui, non so con qual esito, il Leslie interpose l’opera del cardinal d’Este.
Il 5 di agosto scriveva il Torresini, trovarsi l’arciduca Leopoldo con Montecuccoli e Buchaim ad un castello del conte Palphi, nomato Trompe; e là per avventura pervenne a Raimondo la chiave d’oro di cameriere effettivo (ciambellano), conferitagli dall’imperatore a testimonianza di benevolenza, con ingiunzione di rimanere presso l’arciduca (lettere del Torresini del 5 e del 12 di agosto 1645). Nelle circostanze in che allora versava, intempestivo giungeva a Raimondo un reiterato e premuroso invito del duca di