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Che a Galasso non venissero attribuiti dall’imperatore i disastri che incolsero quelle sventurate soldatesche, lo possiamo ritrarre dagli incarichi gravissimi che, come siamo per dire, gli vennero affidati, dopo che con acconcia scrittura ebbe egli posto in chiaro come fossero le cose procedute: il che narrammo aver fatto altresì il Montecuccoli. Ma al primo suo giungere in Boemia aveva l’imperatore dato il comando delle truppe, che qua e là aveva raccolte, all’Hazfeld nemico suo “con molto gusto dei tedeschi”, dice il Priorato, “l’emulazione de’ quali al nome italiano aveva cagionato quella risolutione”. E noi dicemmo già, come all’epoca della morte di Wallenstein maggior vigore avesse preso questo malvolere degli alemanni verso gl’italiani, che numerosi e in gradi elevati militavano nelle truppe imperiali. Ma l’Hazfeld, secondo che dovremo raccontare, non altro seppe fare, se non lasciarsi battere a Iancowitz.
Dalla mala condizione in che allora l’impero si ritrovava, traeva argomento il duca di Modena per rinnovare a Raimondo, valendosi del Bolognesi, il consiglio di levarsi dal servigio cesareo. Dicevagli al tempo medesimo della meraviglia che gli aveva destato il buon esito de’ consigli e de’ negoziati di lui alla corte imperiale e in Baviera, mentre eragli nota “la cattiva opinione che a quel tempo s’aveva alla corte di Vienna di tutti gl’italiani”. Stimava poi gran ventura non si fosse trovato presente Raimondo al disastro di Magdeburgo, “perché, animoso com’era, non avrebbe mancato di perdersi”. Tornasse egli adunque in patria, “perché quello non era successo un giorno, poteva succedere quell’altro andando le cose di male in peggio”. Fosse poi egli per acquistare i più alti gradi, ciò non lo salverebbe dall’essere involto nei disastri dell’esercito imperiale (lettera del 17 marzo 1645). V’hanno anime però così virilmente temprate, e tale era quella di Raimondo, che dalle sventure di una causa alla quale si dedicarono, sembrano prendere nuovo vigore; di guisa che agli oltraggi della fortuna oppongono il petto, pronti a qualsia sacrificio, pur di non venir meno al debito loro. E fu da cotali sentimenti guidato Raimondo allorché, scrivendo al Bolognesi, dicevagli che, “quantunque