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l’anno seguente. Meriterebbe però di essere oggidì ancora presa ad esame, da chi si occupa di studi storici e politici, un’opera da lui stampata col titolo: Il direttore delle ambasciate, nella quale egli porge le norme per la trattazione degli affari diplomatici, e sul modo con che debbano gli ambasciatori comportarsi. In quel libro ricorda egli la dimora da lui fatta in Olanda, in Ungheria e in più altre contrade, e con esempi storici viene avvalorando le dottrine che promulga, frutto di una lunga esperienza. Non è poi improbabile che da Raimondo stesso traesse il Pierelli gl’incitamenti a dedicarsi agli uffici diplomatici. Dal carteggio di lui ci verranno fornite più tardi non poche notizie intorno al nostro gran capitano.
Dagli affari privati di Raimondo, sui quali avremo ad intrattenerci ancora, adesso ci è mestieri far ritorno al racconto della sua vita militare. Le dimostrazioni di stima ch’ei riceveva in Vienna, gl’incitamenti che dall’imperatore medesimo, come avvisammo, gli vennero acciò riprendesse servigio nell’esercito, avean finito col togliergli dall’animo ogni dubbiezza. Insino dal primo giorno di aprile del 1644 il marchese Francesco era avvisato dal Bolognesi, che Raimondo sarebbe per sicuro riammesso nell’esercito imperiale: e l’undici di quel mese trattava di ciò lo stesso Raimondo in una lettera al Trautmannsdorf che il Foscolo pubblicò. Cercava esso da prima in quella sua lunga lettera di far salve le convenienze proprie, col dichiarare che le cariche sostenute a Modena “con qualche felice rincontro, con qualche lode e con qualche buon servigio al principe al quale ho servito”, come questi dichiarò infatti con lettere all’imperatore, all’arciduca Leopoldo e al Trautmannsdorf medesimo, non gli consentivano di assumere il servigio col grado di generale di battaglia che precedentemente vi occupava. E ciò vie più perché, a cagione singolarmente della lunga sua prigionia tra gli svedesi, molti, già inferiori a lui, gli erano andati innanzi . Citava poscia l’esempio del Borri e di altri che,