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sponde del Panaro . Eseguiva fors’anche il Bolognesi in quella medesima occasione l’incarico datogli dal marchese Francesco di aiutare Raimondo a porre in ordine le cose dell’eredità, e a liberarlo dai carichi che da questa gli derivavano, per indi assicurare il possesso della medesima a lui e ai successori suoi. Vi badasse egli, così gli scriveva, non essendo Raimondo “troppo economo”. E che ciò fosse vero, ebbe lo stesso Raimondo a confessarlo in una lettera che è fra quelle edite dal Foscolo, ove si legge: “I denari che altri hanno accumulati per viver comodo, io gli ho spesi per acquistare la benevolenza de’ soldati, per guadagnar la notizia delle cose, e per imparare quell’arti che sono subordinate alla militare”: per le quali parole tuttavia non ci apparisce egli prodigo, ma tale che utilmente sapeva spendere il denaro proprio.
Notammo poi non è guari, come nel Memoriale all’imperatore avesse egli dato conto de’ gravi dispendii cagionatigli dalle guerre e dalla prigionia. Questa larghezza sua nello spendere dovevagli render più gravi le angustie nelle quali per l’eredità fatta trovavasi impacciato. Temeva perciò il marchese Francesco, che per fastidio di contrarietà egli con intempestiva precipitazione non venisse a propositi i quali gli potessero tornar dannosi. Infatti Raimondo nelle lettere sue al Bolognesi dimostravasi insofferente degli impacci e delle cure che quell’eredità e le pretensioni del figlio della contessa gli procuravano, togliendogli di potere con animo tranquillo continuare la carriera alla quale erasi dedicato.
Perché Raimondo provvedesse meglio alla conservazione de’ nuovi suoi possedimenti, il marchese Francesco gli propose, che volgesse i pensieri ad ammogliarsi per perpetuare ne’ suoi