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battaglie nelle quali ebbe campo di distinguersi, e che già furono da noi ricordate, le due prigionie sofferte, l’avere tre volte armato il reggimento a sue spese, e come non avesse avuto i quartieri d’inverno se non una volta; e con ciò, soggiungeva, “trovo haver consumate tutte le sostanze della mia casa”. Né tace degli studi fatti e de’ servigi resi all’impero dai parenti suoi: chiedeva finalmente un’attestazione onorevole di quanto insino allora aveva operato. Trovavasi egli ancora al servigio del duca di Modena, né si era risoluto per anche su quello che far dovesse dopo la pace, e non mostravasi neppure alieno dal prendere stabile dimora in Modena, come dalle lettere del Bolognesi e del marchese Francesco si ritrae; onde terminava col dire: “io, dovunque sia, procurerò sempre di rendermene degno” cioè della grazia imperiale. Quell’attestato da lui richiesto, l’ebbe egli amplissimo in un diploma imperiale in lingua latina aulica (che noi diremmo maccheronica), nel quale le imprese militari di lui erano ricordate secondo le tracce da esso date nel Memoriale. Vi si diceva poscia, nudrirsi fiducia che, fatta la pace in Italia, riprenderebbe il servigio intralasciato: gli destinava intanto l’imperatore una ricompensa di 30 mila fiorini su certi redditi erariali nella Stiria, per compenso, crediamo, dei danni patiti, secondo aveva egli annunziato, e in premio altresì de’ servigi da lui resi. Seguiva dicendo che, se mai tornasse all’esercito imperiale, sarebbe trattato in maniera da averne dimostrazione della benevolenza sovrana. Gli veniva al tempo medesimo dato incarico, quando fosse andato, come si proponeva (e come poi non fece) in Italia, di arrolare, dopo fatta la pace, quanti più soldati potesse tra quelli che venissero licenziati, fanterie sopra tutto. Se poi gli venisse fatto di arrolare soldati di cavalleria da completare i vecchi reggimenti imperiali, uno di questi,