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Il giorno 15 dicembre era Raimondo a Trieste; e di là continuò la sua via per Vienna, ove era aspettato dal Bolognesi, che lo aveva sollecitato ad intraprendere quel viaggio . Nome di prode, di gentile e di dotto cavaliere lasciava di sé Raimondo in patria; e di ciò sembra che pubblica testimonianza volesse fargli un Paolo Ferraroni, il quale, stampando a quel tempo in Modena una sua Orazione in morte di don Marino Bolizza da Cattaro maestro di rettorica nel collegio di san Carlo, a lui, come credo, alludeva, lodando un guerriero valente colle armi e colla penna, che in giovane età oltrepassava la fama de’ più vecchi e più lungamente sperimentati capitani. Da Vienna scriveva Raimondo al duca in data del 26 di quel mese, avere già coll’imperatore e coll’arciduca Leopoldo compiuti quegli offici de’ quali lo aveva incaricato, e che consistevano nel raccomandare ad essi le cose del duca e del suo stato in occasione della prossima pace, e nel presentare un memoriale ove si tesseva la storia de’ passati avvenimenti. Si attribuivano questi al mal animo del papa verso la casa d’Este, e alle pretensioni sue sopra Modena e Reggio feudi imperiali, pretensioni che, per ben ricordarle, teneva scritte sopra una carta, la quale aveva poi sempre sul suo scrittoio. Non era pertanto da stimare sicura la pace; ond’è che il duca dovesse rinnovare le istanze per poter far leve fra le truppe imperiali, e per aver libero il passo per due mila o cosacchi o polacchi che pensava prendere al suo servigio. Alle quali dimande, cui l’imperatore non poteva consentire senza segni di nimicizia verso il papa, è probabile che si sarà risposto o col rifiuto o con parole inconcludenti. E ciò prevedeva Raimondo allorché scriveva che, se a lui si fosse conceduto di far leve, altrettanto si avrebbe avuto a permettere al papa. Del resto aveva il residente veneto a Vienna sconsigliato il duca dal fare quel passo per non mostrar debolezza. Raimondo era altresì incaricato dal duca