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prendere i quartieri d’inverno. Qualche avvisaglia ebbe ancor luogo nel Polesine, ma solo il granduca, che aveva avuto più favorevole la fortuna delle armi, seguitò a tenere il campo, poco mostrandosi propenso a prender parte alle trattative che s’iniziavano per la pace. Andava invece il duca di Modena a Venezia per vedere se gli si offerisse qualche modo di far valere le sue ragioni sopra Ferrara. Erano con lui il Testi e il Tassoni, il primo de’ quali, più che l’altro, tenne fermo nel propugnare le pretensioni del principe suo, finché esso con lettera sua al senato veneto non dichiarò di rimettersi al parere dei collegati; il che non gl’impedì tuttavia d’invocare più tardi un giudicio di arbitri. Chiedeva al tempo medesimo gli si pagasse quanto gli era dovuto per leve fatte, e per due mila svizzeri che stavano per giungere in Italia. Papa Urbano a quel tempo, per consolare il suo generale Valencé delle sconfitte patite a Nonantola e a Pistoia, si lasciò indurre dal nipote cardinal Barberini a conferirgli il cappello cardinalizio; “il che, dice Brusoni, diede, forse a torto, grande occasione di favellare e di scrivere a’ Novellanti sopra le azioni dei Prencipi”, e di questo si ha la prova nel Mercurio del Siri. Non era per questo terminata ancora la guerra, ma solo per allora sospesa, e si continuava il lavoro delle fortificazioni qua e colà incominciate. A quelle di Spilamberto presiedeva il celebre architetto Vigarani, con poca fortuna nondimeno, perché i soldati veneziani usavano a far fuoco di tutti i legnami raccolti per quei lavori, e gli operai non potendo reggere al freddo, fuggivano. Non si desisteva parimente da una parte e dall’altra da incendii e da devastazioni, conseguenza inevitabile delle guerre di quel tempo. Aveva Raimondo accompagnato il duca Francesco a Venezia; e là ottenne di poter fare una corsa a Vienna, ove lo chiamava la malferma salute della vedova del conte Girolamo suo cugino, e il timore che a qualcuno venisse fatto, durante l’assenza sua, di stornarla dai buoni propositi manifestatigli circa l’uso che farebbe delle proprie sostanze. Lettere commendatizie del duca a persone potenti gli dovevano agevolare il conseguimento de’ suoi desideri. Aveva indicato egli stesso