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racconta, di un finto tentativo di passare il Panaro a Bomporto. Sarà stato nell’esecuzione di quella finta mossa o circa quel tempo, secondo stimo, che accadde il fatto, del quale è parola nella seguente lettera da Mario Carandini indirizzata al principe Cesare d’Este: “Il signor conte Raimondo ha corso borasca d’essere fatto prigione dalli Bolognesi, poiché, havendo passato i confini con una truppa di cavalli che l’accompagnavano, insospettì la fortezza Urbana (Forturbano), quale mandò due compagnie di cavalli che stettero in agguato per farlo prigione. Ma avvisato da una spia, ritornò per altra via a Modena”. La copia di questa lettera che io ebbi alle mani, reca la data del 25 di novembre 1642; ma io sospetto che il copista, in errore incorresse e che in quel luogo s’abbia a leggere 1643, non altre ostilità essendovi state nel primo di quegli anni, se non l’invasione delle terre pontificie per opera del duca di Parma. Fervendo tuttavia a quel tempo i preparativi militari, non è al tutto impossibile che quel fatto anche allora potesse essere accaduto. Raimondo in fatti era giunto a Modena men che un mese innanzi al 22 di novembre di quell’anno.
Arrivato il duca al Finale, ricusò a sua volta di prender parte ad un altro tentativo de’ veneti contro Pontelagoscuro, e di proprio moto ordinò al commendatore Panzetti d’impadronirsi di Crevalcuore; come gli venne fatto di eseguire, quantunque non avesse egli più che trecento fanti e duecento cavalli, comandati questi ultimi dal capitano Pegolotti, lodato per valentia dal Montecuccoli. Bastò allora che si desse la scalata alle mura di quella terra per conseguirne la resa. Mille furono i prigioni caduti in potere degli estensi ; ma pochi essendo questi, come dicevamo, né avendo modo di mandare que’ prigionieri a Modena, furon costretti a lasciarli andare, con lor danno, a crescer forze al nemico.