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guerra, al quale intervenne il cardinal d’Este, nominato allora reggente dello stato. Mossero poscia gli alleati verso Spilamberto, e ci vien veduto in una relazione già per noi citata che, qual ne fosse la cagione, non si tenne la via maestra, ma un’altra laterale lungo il Panaro; nella quale gravi incagli trovarono le artiglierie e le salmerie, che solo con molt’opera de’ soldati, adoperandovisi il duca stesso, poterono venir tratte d’impaccio, non senza però che si giungesse a Spilamberto un giorno dopo le fanterie. Questo indugio, come in quella relazione si legge, intiepidì l’ardore delle milizie, e, come il Montecuccoli aggiunge, rincorò alquanto i pontificii, che una diversione infatti operarono dal lato di San Cesario. Ma il Montecuccoli, uso a ben altre contrarietà di eventi, non che sgomentarsi per questo, si pose con più animo a secondare i disegni del principe suo. E vedendo che i veneti, sempre troppo cauti, anche ora proponevano non si procedesse più oltre di Spilamberto, dettò una memoria che è nell’archivio di stato, nella quale calorosamente insisteva, non si desse tempo ai pontificii di riprender coraggio, s’entrasse nel territorio loro, e s’occupasse Piumazzo. Con questa mossa si proteggerebbe da un lato l’esercito, e s’avrebbe modo di far correrie sino alle porte di Bologna, alla qual città si torrebbero i viveri, provvedendone invece i proprii soldati: i quali invero, peggio che da nemici, avevano disertato il modenese dal Finale a Vignola . Né era da temere che quel nemico medesimo, il quale a Nonantola era già stato battuto dai pochi estensi con soli mille veneti ed in aperta campagna, avrebbe ora ardito di assalire i nostri, rafforzati in luoghi vantaggiosi. Prigionieri e disertori concordi attestavano in che timore si vivesse a Castelfranco, ove ai più veloci cavalli non mai levavasi la sella per averli pronti alla fuga. E furono certo codeste ragioni di Raimondo che indussero il Corraro a consentire si facesse l’impresa di Piumazzo;