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Tensini . Ed altre se ne venivano preparando a Modena, circa le quali esprimeva egli al principe Cesare la soddisfazion sua, potendosi così con maggior quiete attendere alle cose di guerra. Avevano i veneti, poiché giunse loro la notizia dell’attacco di Nonantola, levato il campo dal Finale, trasportandolo, per esser più pronti al soccorso, a Bomporto: ma ogni romor d’arme essendo cessato, il Corraro lor capo trasse ad Albareto, ove in una casa de’ Cortesi era il duca; e là si tenne consiglio sul modo migliore di trar vantaggio dallo sbigottimento del nemico, che era tale, secondo scrisse il Torricelli già citato, che la falsa voce corsa muovessero gli estensi verso Castelfranco, bastò a far sì che i pontificii, accampati intorno quel castello, entro il medesimo si ritraessero, e i bolognesi pensassero a mandare ambasceria al papa per sollecitarlo a fare la pace . Ad Albareto fu chi propose l’impresa di Cento, o quella di San Cesario, ed altri che si tenesse l’esercito a Nonantola di fronte al nemico. Sostenne invece Francesco I, doversi procedere contro Bologna, da poche truppe presidiata, e ridestata, per quel che a lui ne sembrava, all’antico amore di libertà. Leverebbersi allora senz’altro i pontificii da Castelfranco, e terrebbero i collegati la via che dai colli modenesi mette a Bologna. A questo partito, molto lodato dal Grifoni commissario toscano, apertamente si oppose il Corraro, come si ha da una lettera che il Montecuccoli scrisse da Spilamberto il 27 di luglio. Ché anzi ne sorse fiera disputa tra esso Corraro e il duca, il quale affermava bastargli l’animo di entrare anche senza di lui nel territorio nemico. S’interpose il principe Luigi d’Este, al quale venne fatto d’indurre il Corraro a procedere intanto col duca alla collina. Provveduto alle comunicazioni col territorio veneto mercé un forte presidio al Finale, seguitò egli dunque a Modena il duca, che vi adunò un altro consiglio di