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nevansi ad andare a riconoscere la terra, per vedere se modo vi fosse di penetrare in essa per altra parte, il segnale della ritirata dato dai veneti venne a por fine al combattimento. E qui narra il Vedriani di un cannone degli estensi che i soldati, non avendo modo di trarre con loro, seppellirono sotto terra, e dai pontificii che lo scoprirono, venne in trionfo portato a Bologna. Ebbe il Lavalette uno de’ suoi capitani e 200 soldati uccisi. Una stampa che è nell’archivio estense, lavoro di Floriano del Bono, la quale da G. B. Fontanelli venne dedicata al senatore Nicolò Tanari, raffigura la fuga della cavalleria veneta, mentre si vede giungere quella del papa. Gli estensi da una colombaia e con un loro cannone collocato dietro a barili fanno fuoco contro Crevalcore; un manipolo di fanti riparati da fascine, e un altro dentro un macero da canapa sparano pur essi gli archibugi contro la gente del papa. Spesseggiavano in questo mentre le tristi novelle dai paesi che dicemmo invasi dai pontificii; ond’è che finalmente gli alleati consentirono al duca che le forze comuni a quelle parti si volgessero: e si posero il 20 di giugno parte al Finale e parte a Bomporto; nel qual ultimo paese trovandosi il Montecuccoli, vi ricevé dal principe primogenito del duca una lettera che si conserva tra le carte dell’archivio, chiedente gli mandasse alquanti ufficiali che gli occorrevano. Badavano intanto le genti pontificie a devastare le terre occupate “stimando il papa, come scrive lo storico Brusoni, la ruina di quello stato (l’estense) la stabilità della propria fortuna”; e dalla Porretta e da Rocca Corneta designavano invadere il Frignano per interporsi tra Modena e la Toscana, meditando anzi il belligero pontefice di assalire entrambi quegli stati ad un tempo medesimo, e il veneto altresì. Trovavasi egli a tal uopo ben fornito di milizie: la sola Marca, la quale numerava allora, secondo dice il Siri, 353.000 abitanti, non computando i 50.000 cittadini di Ancona, gli aveva fornito 19.000 fanti condotti da 75 capitani, e 1900 cavalli. Erano spartite le truppe ecclesiastiche in tre campi, il maggiore dei quali stanziava a Castelfranco che minacciava ad un tempo Modena