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ritorio pontificio il duca di Parma, che, secondo scriveva Raimondo, non si lasciava più trattenere né da persuasioni né da trattative. E seguitando il consiglio del suo ministro in Venezia occupò egli quelle terre del Bondeno e della Stellata ove Raimondo, come or ora dicevamo, disegnava condurre le truppe estensi. Onde caddero allora in potere del Farnese le larghe provvigioni, che, come in luogo sicuro, avevano i comandanti pontificii ragunate entro le mura di quelle terre, dove colle cose loro rifugiati si erano anche gli abitatori del paese all’intorno. Da quell’esempio incitati s’avanzarono i veneti altresì, e occuparono Figherolo, Trecenta e Lagoscuro. L’audace procedere del duca di Parma dietro gli richiamò le truppe pontificie; talché il Corraro, il quale con 3000 fanti e 300 cavalli era a guardia del Finale, non reputandosi più sicuro colà, faceva vivissime istanze al duca Francesco acciò colle genti sue venisse senza indugio a rafforzarlo. E il duca, al quale stava a cuore di trattenere almeno per qualche tempo ancora i toscani nel suo dominio (ma non gli venne fatto) fece apparire anche maggiore di quel che era il bisogno di loro presenza nel ducato quando egli si fosse allontanato da Modena: quindi deliberò di accettare l’invito del Corraro, per poscia entrare insieme con lui nel territorio nemico. E confidava che per tal modo gli verrebbe fatto d’indurre il provveditor Pesaro a passare dal Polesine nel ferrarese, la qual cosa, per la mala intelligenza ch’era tra questo e il Corraro,, non gli era insino allora riuscito di conseguire. Lasciate pertanto le milizie paesane e alquanti soldati a guardia di Modena e de’ luoghi di maggiore importanza, s’avviò il 7 giugno col Montecuccoli verso il Po, seguitato da 3500 fanti, 1000 cavalli, 300 dragoni, con sei pezzi di artiglieria grossa e altrettanti di minor calibro .