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quale tenemmo parola, contratta invero nel luglio, ma che con nuovi capitoli in favore del duca di Parma era poi stata nel settembre completata. “L’imperatore, scriveva il diplomatico nostro, ha riso assai per essersi mutata la scena con l’entrata di S. A. di Parma nello stato ecclesiastico, e che la soldatesca pontificia fosse confusa”. Faceva poi istanza il Bolognesi acciò non venisse troppo a lungo trattenuto Raimondo in Italia, “perché à abilità ed ascendenza tale che potrà col tempo giovare per mille versi”. Parlando poscia degli affari dell’impero venuti a mal termine, soggiungeva non altro riparo trovare a questi il Piccolomini che l’azzardare una battaglia, il che qualificava egli per un parlare da disperato. Una memoria presentò Raimondo al duca Francesco I circa la parte che nella guerra italica si proponeva egli di assumere, memoria che ci sembra opportuno di riportare compendiata in nota . Qui basti accennare che l’officio egli chiedeva di mastro di campo generale, come lo aveva tra i pontificii il Mattei, e come era per ottenerlo in Toscana il Borri, entrambi commilitoni suoi : ed era accompagnata la dimanda dalle ragioni di convenienza che la legittimavano. Quattro mila scudi annui se gli darebbero, oltre la casa e gli utensili alla medesima occorrenti, per due anni, dopo i quali potrebbe egli alle dette cose sopperire coi suoi danari. La qual’ultima clausola non pare che ad altro accennar voglia se non ad uno stabile servigio militare ch’egli intendesse assumere a Modena. Ma da codesto memoriale un ostacolo apparisce da lui preveduto all’esaudimento della sua dimanda: i riguardi cioè che stimasse il duca dovuti al generale delle fanterie, che era il marchese Camillo Bevilacqua, legato in parentela colla famiglia d’Este. Vediamo infatti dal Montecuccoli proposta per lui qualche speciale onorificenza, in tempo di pace singolarmente, mentre in guerra dovrebbe chicchessia al mastro di campo generale rimaner sottoposto.