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mettendo lo scompiglio tra i combattenti. Per gli svedesi destinati al duca instava il marchese Francesco, acciò fossero “subitissimamente messi al sicuro ed avviati quanto prima a questa volta”. Ma la cosa non poté poi aver luogo. Alcuni soldati imperiali si poterono soltanto arrolare, come dicevamo, non senza molte difficoltà, essendoché, secondo avvisò il Bolognesi, non volessero l’imperatore e i ministri disgustare il papa, per timore che, poco amico essendo alla casa d’Austria, vie più si unisse ai francesi, o all’elettor di Baviera, se mai rinnovasse le pretensioni sue alla corona imperiale. Per egual motivo fu dall’imperatore rifiutata l’elezione del cardinal d’Este a protettore dell’impero in Roma, carica alla quale aspirava. E forse non fu dalla corte di Modena posto allora in opera l’estremo rimedio che a conseguire quell’intento rimaneva; quello cioè indicato da Bolognesi: di ottenere con regali il favore di uomini potenti alla corte e ne’ ministeri. Ad uno di costoro, nomato Valderode, ch’ei diceva “il peggiore istromento che fosse in corte, e così avido che non la perdonerebbe a san Pietro”, non potevano darsi meno di duecento talleri: ad un Kuruz basterebbe tanto velluto di Reggio da ornarne due stanze: si dovrebbero dare beveraggi, per usare le parole di lui, alla cancelleria all’uso del paese; e finiva con queste parole: “Dio liberi ogni fedel cristiano dal trattare ora qui rispetto ai subordinati”. Ebbe poi a notare il diplomatico medesimo che la partenza di Raimondo, e una ferita toccata dal Piccolomini, scompaginarono del tutto l’esercito imperiale: sì che tornarono gli svedesi a dominare la Slesia, dopo vinta, come dicevamo, la battaglia di Lipsia, che a repentaglio poneva le sorti dell’impero. Intorno alla qual battaglia ci rimane a soggiungere, che della perdita della medesima vollero i tedeschi incolpare il marchese Pallavicini: il quale essendovi rimasto ucciso, non avea il modo di ribattere quelle accuse, mosse verosimilmente da que’ sentimenti di nazionale avversione, dei quali più volte ci accadde tener parola.