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della qual città indusse poi gli svedesi ad abbandonare le altre che nella Slesia occupavano.
Appena fu a Modena notificato il prossimo dipartirsi di Raimondo dalla Germania, scriveva il marchese Francesco al Bolognesi: “Il conte Raimondo si sta attendendo con ansietà da tutti, massime da me e dirò anche da S. A.” (lettera del 19 settembre 1642). Cinquecento talleri furono dal Bolognesi sborsati a Raimondo forse per le spese di viaggio e per gli arrolamenti fatti. Avvertiva poi il Bolognesi che non potrebbe Raimondo venir trattenuto in Italia oltre il bisogno che se ne avesse. Con grado di sergente generale di battaglia partì egli infatti , dopo aver preso parte ad un pranzo coi consiglieri e i ministri imperiali; nel quale, dice il Bolognesi, che era tra i commensali, “si bebbe in onore delle opere del duca, e in derisione di chi vi ha dato causa”. E a lui in risposta annunziava, il 3 ottobre, il marchese Francesco “arrivato il conte Raimondo con molto gusto di S. A. e mio infinito, e attendo a servirlo e goderlo”. E poco dopo mandavagli dodicimila talleri per le spese di 1100 prigionieri svedesi, che, secondo gli strani principii di diritto pubblico allora in uso, erano stati dall’imperatore concessi al duca acciò se ne valesse in guerra. Di questo passaggio forzato di soldati dall’uno esercito all’altro non scarsi esempi si ebbero nella guerra de’ trent’anni, ed intervennero talvolta parziali accordi per questo tra i belligeranti. Nella resa di Egra, per esempio, avvenuta nel 1647, fu inserito un capitolo pel quale diciotto compagnie di fanti e di cavalli austriaci dovevano, salvo gli ufficiali, essere incorporati nell’esercito svedese, il quale del rimanente da molti sudditi imperiali venne spesso afforzato, profughi per lo più perché seguitatori della religione protestante. Que’ soldati però che a forza erano tratti a guerreggiare contro i compatrioti loro, a questi appena che il potessero si riunivano, abbandonando i posti loro affidati e