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fatta per la pace d’Italia, con che si accusava lui di turbarla. E più rimostranze ebbero a fare al Masdoni i cardinali, ond’è che con lieto animo accogliesse poi la facoltà concessagli di lasciar Roma, donde partiva il 16 novembre del 1642 andando governatore in Garfagnana.
Verremo poi ora senza più a dire come non riescendo al Bolognesi di ottenere il congedo per Raimondo, ne faceva il duca stesso formale domanda con lettera sua all’imperatore, dichiarando occorrergli di averlo a capo della propria cavalleria; ma pregando nel tempo stesso perché fosse eziandio lecito a Raimondo di venirgli in aiuto col suo reggimento. Quella lettera scritta da Fulvio Testi sta fra le sue (al n. 347) edite in Modena nel 1817. E perché in essa la facoltà ancora si chiedeva di far leve in Germania, e a Raimondo di radunarle, espresse il duca la speranza che il Piccolomini pure fosse per fare in tal circostanza, col secondare l’opera di Raimondo, “la parte di buon amico di S. A., e di buon italiano”, siccome è riferito dal Bolognesi. Il Piccolomini invece, trovandosi l’anno appresso disoccupato, trattò di venire a militare contro la lega, e perciò contro il principe suo naturale, il granduca di Toscana, narrandoci il diplomatico medesimo non essere egli stato alieno dall’accettare le offerte larghissime del papa. Darebbe a lui, come vedremo aver poi fatto per altro generale, un cappello cardinalizio, e un secondo a un fratello di lui, un donativo di 60.000 scudi, 24.000 di soldo annuo, e cessata la guerra un assegno di 12.000 scudi. Ma l’imperatore che non voleva potente il papa, il quale credevasi che macchinasse coi francesi di porre a capo dell’impero l’elettor di Baviera , per prezzo della neutralità, e sospettavasi mirasse a conquistare sugli spagnoli il reame di Napoli, dissuase quel generale dal tener l’invito, consigliandolo invece ad entrare temporaneamente al servigio di Spagna, con promessa di reintegrarlo nel suo grado allorché ritornasse in Germania. E fu questo il partito al quale