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a lungo prolungata in una fortezza, è agevole l’imaginarlo, ed apparisce dalle sue lettere. Ma forse non sentì egli da prima tutta la gravezza della sua sventura, reputandola di breve durata. Scriveva infatti al Bolognesi poco dopo il suo arrivo a Stettino: “la compagnia di altri prigionieri ci fa trovar mille invenzioni di esercizii per alleggerir la noia della prigionia”; ma dalle successive lettere si fa manifesto come venisse man mano lo sconforto occupandogli l’animo. Le memorie per avventura lo assalsero dell’età infantile, della patria, della famiglia, delle prime sue prove nell’armi, de’ successivi conflitti e della gloria che in quelli insin d’allora aveva conseguito. Né poco pensiero gli avrà dato il vedersi troncata la via a conseguire que’ più elevati gradi militari che le condizioni fortunose dei tempi gli assicuravano, e che una pace improvvisa poteva intanto per lunghi anni allontanare da lui. Né poca amarezza cagionato gli avrà il contegno di molti tra i compagni suoi di sventura, che dediti all’ozio e al giuoco a lui erano troppo inferiori. Trovavasi tra i prigionieri un amico suo dal quale non so che grave offesa avendo ricevuto, si vide astretto a cimentarsi con lui in duello. Riescì egli a disarmarlo; e a vendicar l’oltraggio aveva già in alto levata la spada per finirlo, quando un senso magnanimo di pietà lo trasse a riconciliarsi, senz’altro pensare, coll’offensore. Ma se per più ragioni dolorosa riescì a Raimondo la prigionia, un inestimabil vantaggio seppe egli da quella ritrarre; imperocché, abborrente com’era dall’ozio, si fece in quel tempo a perfezionarsi negli studi fatti in Italia, e non potuti forse durante il corso della faticosa sua carriera militare proseguire. Maestro a sé stesso, lunghe ore meditò in quel lasso di tempo sui volumi degli antichi sapienti, e de’ moderni, avendoci egli medesimo lasciato un elenco di quarantacinque scrittori di storia e d’arte militare, latini, italiani, tedeschi e francesi, le opere dei quali egli allora studiò, valendosi de’ libri che formavano la biblioteca del palazzo dei duchi di Pomerania in Stettino, come scrisse il Bisaccioni. Qual pro da codeste lucubrazioni della mente ei ritraesse, le opere che ci lasciò a sufficienza lo fanno