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vi serva di motivo per procacciare con ogni applicazione il suo riscatto. Non restate di partecipare che speranza se n’abbia”. Ma già il 22 novembre del precedente anno aveva il Bolognesi presentato una supplica all’imperatore nella quale dicevagli: “Passano 18 mesi che il conte Raimondo Montecuccoli è prigioniero della Corona di Svezia, e mentre attende dalla clemenza della M. V. i mezzi per la sua liberazione, intende che siano rimasti prigionieri due tenenti colonnelli svedesi che posson darsi in cambio di esso Montecuccoli, per la quale invigilando io infrascritto come ministro del duca di Modena di cui è vassallo benemerito il conte Raimondo, umilmente e per gli ordini che ne tengo ricorro all’innata pietà della M. V. supplicandola restar servita ordinare che si metta in trattato col Banier il cambio, in considerazione non solo che detto conte è il più antico prigioniero di Banier, ma il più anziano ancora nella carica. Della grazia che si degnerà concedere V. M. il duca resterà colla dovuta obbligazione”. Ma tutto tornò indarno anche allora. E di queste premure del Bolognesi in favor suo più volte ebbe con sue lettere a dirglisi grato Raimondo, che pur lo pregava a non desistere dalle istanze, vie più perché parevagli di essere dalla corte imperiale dimenticato dappoiché si erano, come una volta gli scrisse, scambiati ufficiali che da men tempo di lui erano prigionieri. Venivano poi da Raimondo a quel ministro estense indirizzate le lettere da spedire a Modena, dove non di rado esprimeva il desiderio di ritornare per prestarsi in servigio del duca. Così troviamo che scrivendo del ritorno in patria di Giambattista Montecuccoli, figlio, come dicemmo, del marchese Francesco, soggiungesse: “così potessi io accompagnarlo di persona!”. Anche il principe Mattia de’ Medici l’opera sua a quel tempo interponeva per la liberazione di quel prode italiano; della qual cosa, non che d’altri favori che asseriva avere da lui ricevuto, si protestò riconoscente Raimondo quando partecipar gli poté d’aver racquistato la libertà.
Che grave riescir dovesse ad uomo della gagliarda tempra di Raimondo in sul vigore de’ suoi trent’anni il passare dall’agitata e faticosa vita de’ campi di guerra all’inazione così