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sfuggir non poteva il tristo esito che la guerra mal condotta allora da Galasso e dagli altri generali aver doveva, a cagione ancora dell’essersi per le copiose diserzioni indebolite le truppe loro ; e scrivendo al Bolognesi, dopo aver detto che in quanto a sé trovavasi avere un grosso reggimento, che a Liegnitz in Slesia s’era venuto componendo con ciò che rimaneva del proprio e coi soldati di un altro che venne sciolto, soggiungeva: “Abbiamo a fare con inimici di fuoco, ma veggo molti de’ nostri confederati scuotersi nel manico, e quello che è peggio, siam pigri nei nostri provvedimenti. La più gran parte della cavalleria è anche a piedi, l’infanteria ancor tutta nuda... s’attende a riformare i soldati nell’armata, e la religione ne’ paesi, e in questo modo si deformano la religione e i paesi. Questa è cosa sicura che per obbligo della divozione, e per ambizione della gloria, e anche per lo stimolo della disperazione ci batteremo come disperati”. Questo però non molti fecero allora, ma lo fece bensì il Montecuccoli. A lui attribuisce il biografo suo contemporaneo, Enrico de Huissen, la liberazione di una città in Slesia da lui detta Namflau, e che il Paradisi nel suo elogio nomò Nemeslau, la quale era assediata da 10.000 svedesi del Torstensson, su loro essendo egli piombato con 2000 cavalli, che li volsero in fuga; il qual fatto per altro può dubitarsi avvenuto soltanto nel 1642, allorché era il Torstensson a capo dell’esercito svedese. Checché ne sia di ciò, le lettere del Bolognesi ci mostrano nel maggio il reggimento di Raimondo operar di conserva coi sassoni presso Praga, mentre erano gli svedesi sul fiume Eger, e fu in tal circostanza che una battaglia ebbe luogo nella quale rimase Raimondo prigioniero di guerra . Come ciò accadesse lo