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sione degli spagnoli nel piacentino non permise ad essi di rimanere nello stato ducale. Entrò allora il duca nel parmigiano con 13.000 uomini, occupò Rossena, e costrinse le truppe di Parma a chiudersi in quella città. Interpostosi poi papa Urbano VIII acciò venissero le terre parmensi liberate dalle truppe che le occupavano, e per metter pace tra i duchi cognati, le cose per questo lato si quetarono, non restando di que’ conflitti altro ricordo se non quello dei balzelli ai quali per cagion della guerra ebbero i miseri sudditi a sottostare. Gravissimi fra gli altri quelli apparvero imposti ai sudditi di Raimondo, che perciò ne mossero lagnanze al duca, allegando che di 38 scudi per fumante (maniera di computo delle tasse) erano gravati, mentre gli altri frignanesi non soggetti a feudatarii lo erano di soli 14. Importabile dicevano poi essi quel carico allora che la carestia a maggiori dispendii li costringeva. E il duca Francesco che per quella guerra ottenuto aveva per mezzo del conte Girolamo di poter scrivere 500 soldati nel Tirolo, favore che ad altri era stato negato, non dimenticò nelle circostanze in cui si trovava che un suddito suo s’era venuto acquistando, comecché giovane, nome di prode e di sagace capitano, e scrisse infatti a Raimondo Montecuccoli chiamandolo presso di sé. Ed egli, quantunque impegnato nella guerra della quale più sopra tenemmo parola, volonterosamente accettava l’invito del principe suo; se non che accompagnato che ebbe il suo reggimento in Sassonia, gli fu negata la facoltà da lui richiesta di assentarsi per un mese e mezzo. Replicò egli, allorché prendeva parte all’assedio di Magdeburg, le istanze, rivolgendole al generale in capo, al quale diceva: “trattarsi dell’interesse di tutto quel poco che ho al mondo”; alludendo, com’ei spiegò, al servigio del principe suo naturale; ma neppur allora gli venne conseguito l’intento. Delle quali contrarietà rese egli avvisato anche il cugino Girolamo: ma al duca soggiungeva Raimondo che il lungo viaggio, e le quarantene alle quali sarebbe stato sottoposto, troppo breve, e perciò inutile avrebbero reso la dimora sua in Italia: del che si disse convinto lo stesso duca, il quale già attestato gli aveva il proprio gradimento per le