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96 | raimondo montecuccoli. | [parte i.] |
passa pel suo stato. Manca chi ponga ordine”. E in altra lettera lamentava la discordia tra i capi, e il mal animo verso gli ufficiali italiani, sopratutto contro Piccolomini e Galasso.
Ma se buona non era la conduzione delle truppe, suppliva il numero di esse; ond’è che si dette opera a far libero il Danubio, ponendo assedio a Ratisbona1, la quale da prima ributtò gli assalitori, facendo loro perdere otto mila uomini. Ma non soccorsa a tempo, e venute meno, come narra Priorato, le munizioni alla truppa svedese, finì coll’arrendersi. Ebbero poscia gl’imperiali Donauwerth, e posero assedio alla città forte di Nordlingen, devota quant’altre mai alla fortuna di Svezia: ond’è che il duca Bernardo di Weimar e l’Horn, il quale poco prima aveva occupato Landshutt, essendo l’Aldringer rimasto morto nell’incendio ivi sviluppatosi, accorrevano tosto a soccorrerla. E là appunto una celebre battaglia ebbe luogo non voluta, come l’Horn consigliava, evitare dall’impetuoso Bernardo, la quale durò due giorni (il 6 e il 7 settembre del 1634); finché, come ne’ suoi Aforismi racconta il Montecuccoli, essendo stata la cavalleria svedese che era alle ali dell’esercito interamente sconfitta, la fanteria che stava al centro fu rotta a cannonate, rimanendo prigioniero con altri tre generali lo stesso Horn, che non prima di sette anni racquistò la libertà. Fu detto che dodicimila uomini rimanessero spenti sul campo2. Grave pericolo corse allora il re d’Ungheria, essendogli stato ucciso al fianco quel colonnello piemontese Aiazzi, del quale tenemmo parola più addietro, e che fu lodato ne’ suoi Commentarii dal Bisaccioni (pag. 124). E di questa vittoria, la maggiore fra quelle riportate dagli imperiali nella guerra dei trent’anni, come scrisse il Mailàth, non negano gli storici il merito a Galasso, il quale le operazioni diresse che la fecero conseguire, e, come nell’operetta sua Delle battaglie notò Montecuccoli, in tempo occupò le alture, che invano si sforzarono poscia gli svedesi di riprendergli. Il Piccolomini