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certo collare di ferro che portava al collo lo salvò: s’azzuffarono anche i padrini, ma vennero separati, e le discordie assopironsi. Borso partì allora per l’Italia, e il suo reggimento fu tra quelli dall’imperatore mandati in Fiandra . Non ritornò poi quel principe estense se non più tardi al servigio imperiale, dopo cioè la morte di Wallenstein. Ed ora il nome di questo generale c’invita a ricordare un donativo nel 1630 inviatogli dal duca di Modena: erano due cavalli condottigli a Memingen da un giovane Florestano Grillenzoni, al quale trecento fiorini ei regalò, come si ha da una lettera del Bolognesi. Accadde poi che detto giovane, carissimo al duca Francesco I, e secondo il Testi, addirittura suo amico, gravemente l’anno stesso (1630) s’infermò in Coira, mentre altri cavalli conduceva all’imperatore; al quale furono invece presentati da un proprio paggio, come lo stesso duca scriveva; e in altra lettera la morte del Grillenzoni lamentando, dicevalo uomo ragguardevolissimo nel suo mestiere. Lo Spaccini invece, parco lodatore com’era, notando nella sua cronica che morisse di peste, più abile lo asseriva nel saltare e nel ballare sui cavalli che nel maneggiarli.
Al pari dei due principi estensi venivano nelle convenienze loro offesi da Wallenstein Francesco e Mattia de’ Medici, essendoché obbligar li volesse a trattare con titolo d’illustrissimi i colonnelli e i gentiluomini suoi, minacciando che se non obbedissero farebbe dare ad essi del voi come cogli inferiori si usava. Risposero essi allora che se osasse alcuno maltrattarli a parole sarebbe da loro, come si espressero, maltrattato nei fatti; e tosto levandosi dal campo andarono ad Olmütz, di là spedendo a Vienna il cavalier Guicciardini lor maggiordomo ad esporre le proprie lagnanze all’imperatore. Il quale peraltro non osò prendere le parti loro, accettando, per quanto valer potesse, l’asserto di Wallenstein che non aveva già comandato