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DI PARNASO. | 27 |
sdegnatissimo, e che però erano sicuri di ricever da lui severissimo castigo, ancorche si trovassero assenti, armati, & in carichi grandi, se accadeva, che dalla Republica fossero chiamati, con tanta prontezza d’animo erano veduti ubbidire, che deposte l’armi, e l’autorità de’ pubblici Magistrati, correvano in Vinegia, per esser da gli amici, e da’ parenti loro giudicati, anco con la pena capitale. Cosa che per molti esempi, che all’età sua in quella Serenissima Republica si erano veduti, haveva empiuto il mondo tutto di stupore: che però li parea di poter dire, che li si facea torto apertissimo, se tanta autorità della Republica Venetiana, se tanta sommessione, tanta ubbidienza, e così inaudita carità della Nobiltà Venetiana verso la pubblica libertà non veniva anteposta à tutte quelle leggi ammirande, & ottimi instituti, che avanti lui havevano raccontati gli altri.
La Serenissima Libertà Venetiana, che senza mai rispondere cosa alcuna a quei virtuosi, haveva uditi tanti suoi lodevolissimi ordini, e tante sue meravigliose prerogative, disse al Dolce, che quella, ch’egli haveva raccontata, era cosa degna di grandissima consideratione, ma che però era beneficio anco posseduto da gli Imperadori Ottomani: ma che da una sola prerogativa, ch’ella esattamente possedeva, e nella quale si conosceva avanzar ogni Prencipato, e qual si voglia passata, e presente Republica, riconoscea tutta la sua grandezza, laquale per ancora da nessuno di quei virtuosi era stata detta.
Allora Dionigi Atanagi disse, che la più rara meraviglia, che da gl’ingegni grandi nella Republica Venetiana fino alle stelle con ogni sorte di lode esaggerata, meritava di
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