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È dessa una vecchia scrittura che ha l’andamento, il colorito retorico e le caratteristiche generali di un’orazione panegirica, di cui conserva manifeste vestigia: scrittura che raccogliendo l’antica tradizione della chiesa potentina, la racconta come avvenuta sotto gli occhi del narratore, perché essa abbia il suggello d’incontestabile autenticità, l’ie frodi e comuni a’ prodotti del cielo leggendario.
Restano i due più antichi documenti del 1095 e del 1097 (n. 1 e 2), secondo i quali il titolo in questione sarebbe di «vescovo della sede grumentina della città di Marsico,» mentre il vescovo stesso, per brevità, sottoscrive solamente «vescovo morsicano.»
Che cosa dobbiamo dire di questi documenti?
Li ronderebbero sospetti, per verità, le considerazioni che seguono, e sono:
1° che la bolla di papa Stefano del 1055 parla unicamente di un vescovo della città di Marsico e non accenna a Grumento;
2° che è antica consuetudine della chiesa romana quella di ritenere i vescovi il titolo delle antiche e soppresse sedi, se queste siano incorporate alla sede loro; e ciò a titolo di onore.
Marsico invece l’avrebbe abbandonata;
3° che ammessa la totale distruzione di Grumento nel socolo IX, non pare probabile ne sopravvivesse il titolo, campato in aria, per oltre un secolo fino alla metà del secolo XI, quando surse il vescovato di Marsico.
Ma queste considerazioni non sono di grande peso; e al minimo soffio vagellano. L’ultima si fonda sulla veridicità appunto degli Atti laveriani; e questa abbiamo dimostrato come sia per sè labile cosa; pure tacendo che la testimonianza del dubbio Cronico Cavese farebbe in piedi la città fino al 1031. La prima considerazione sarebbe di molto peso, e non è; perchè essa trae argomento non già dalla bolla di fondazione della sede marsicana, ma si da una bolla che dà il novero dei suffraganei all’arcivescovo di Salerno. Ora, in questa bolla, il novero essendo dato dalla città nella quale risedeva il vescovo, ognun vede cho la indicazione della «città di Marsico,» mentre è giusta, perchè rispondeva al fatto, non può, nel caso nostro, provare più di quello che materialmente dice. La considerazione dell’antica consue«references/»