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rimaneva a compiere la più ardua impresa ch’era quella d’impadronirsi del castello.

Assiso la sera con Uguccio sopra un pancone presso la porta dello stemma (la maggiore della fortezza, dalla larga volta della quale pendeva accesa un’affumicata lucerna), andava ragionando sui fatti stati riportati là dentro, ed esponeva con fervore gli argomenti che s’aveva per non dubitare che il loro Condottiero avrebbe mosso il campo ed ottenuta la vittoria. Interruppe quell’animato dialogo la voce della sentinella che s’udì dallo spalto annunziare che s’appressava al castello un soldato a cavallo. Tosto l’araldo s’affaccia alla feritoja del ponte, e vedendo giungere vicino il cavaliere, gli grida chi sia, e cosa voglia. "Sono messaggiero e reco dispacci da Pavia" fu la risposta che venne data. Il capitano d’armi fece disporre gli arcieri di guardia in ordinanza, poi ordinò s’abbassasse il picciolo ponte levatojo laterale, e il messaggiero entrò.

Appena ebb’egli posto piede a terra, e consegnato all’araldo un involto suggellato di carte