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l’arcano di che pareva cinto quel castello, volle mirarlo vicino mentre tutto era in silenzio. Colà quindi s’avvia a lenti passi, quand’ecco al suo appressarsi sorgere sulle mura il Monaco tremendo.

Arretra Ubaldo d’un passo, ma poi quasi da malìa incatenato si ferma, fiso tenendo lo sguardo a contemplarlo. Terribile allora non era quanto misterioso il di lui aspetto; le fosche lane che ricoprivanlo, fatte men rudi dalla pallida notturna luce, segnavano perfetti contorni e parevano l’involucro d’un genio in umane forme. Immobile rimaneva in mesto e fiero atteggiamento.

Ubaldo sbandita prestamente ogni apprensione, alzata la destra con voce ferma, esclamò: "Invano, chiunque tu sii, ti ostini a difendere queste mura: esse hanno ricettato l’iniquo nostro nemico e debbono cadere. Cedi ai valorosi Sanguigni; cedi e risparmia la vita dei tuoi". - Giammai - fu l’unica parola che dalle labbra del Monaco pronunciare s’intese.

Due giorni dopo ogni cosa trovossi in pronto