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moti, onde far brillare al raggio della luna una falsa gemma che portava in dito, legata in largo anello d’argento. La strada era per metà rischiarata dalla luna, e sull’altra metà batteva l’ombra d’un lungo muro di giardino, sul quale sopravanzavano gruppi di piante ed alberi isolati, che accrescevano in varia foggia la linea oscura, interrotta in certo punto da uno spazio, in cui non riflettevansi sul terreno che le aste del cancello, il quale serviva di porta.

Milo cantava; il suo spirito era sereno al pari del cielo, che gli stava di sopra ed a cui calzava di tratto in tratto gli occhi, siccome ad un vasto padiglione turchino trapunto di stelle, senza pur sognare nè la pluralità dei mondi, nè l’infinità dello spazio. Aveva un cappelletto acuminato, da cui pendevano varie fettucce di velluto: e lo portava obliquo sulla rete, che gl’involgeva la capigliatura folta e bionda, dal colore della quale aveva ricevuto il soprannome: da ciascuna delle tempia gli ricadevano due ciocche