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brutalmente fra le mie braccia e, lei riluttante, la baciai sulla bella bocca di corallo, che trovai fredda come la neve, che restò fredda non ostante i miei lunghi baci di fuoco!...
Quel mese di ottobre fu il mese più strano della mia vita. Di giorno io e Gella proseguivamo le parti antiche, freddi e indifferenti, ma di notte i convegni più ardenti e romanzeschi ci riunivano o nel verone o nel roseto del giardino, nell’oscurità azzurrognola delle notti interlunari o fra i silenzi gemmei dei magnifici pleniluni. Solo nelle notti piovose ci riunivamo nel piccolo salotto nero, caldo, a cui la luce tenue della lampada dava un vago ambiente di santuario. Nel divano antico di lampasso a fiorami lividi, Gella col suo costume bianco pareva una santa mediovale, una madonna latina dal volto a riflessi d’oro, ed io, spesso prostrato sul tappeto, adorandola, rappresentavo benissimo la parte di devoto. Diventavo sempre più innamorato: di giorno in giorno il mio amore prendeva proporzioni immense: un amore che mi avrebbe ucciso se non corrisposto. Di giorno spasimavo perchè costretto a nasconderlo. Gella mi aveva detto: — Non voglio che nessuno, neppure tuo padre, sappia che ci amiamo, finchè tu non sia in grado di sposarmi, cioè laureato. Se tu dici una sola parola, se dai un solo sospetto, tutto è finito fra me e te! Di notte soffrivo: pur stringendomela al seno, pur baciandola e sentendomi