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parlate ogni notte... Se avesse buone intenzioni ti avrebbe già domandata a papà, e invece... Gella, non offenderti, te lo dico per il tuo bene... Vedendoti così tardi al verone ho pensato che lo aspettassi e son sceso... Ma credo che ciò sia bugia... Gella... io non ci credo... ma se fosse...

Non potei proseguire: quella bugia, quell’infame bugia, mi serrava la gola, m’inaridiva le labbra. Gella rimase immobile e non rispose.

Volevo continuare la mia poco lodevole commedia; volevo chiederle perdono e non potevo nulla: alla fine me ne andai senza quasi avvedermene, e ritornai alla mia finestra chiedendomi se non sognavo.

Vidi Gella sempre là, china sul parapetto, col volto fra le mani...

Piangeva! Un pianto silenzioso e disperato interrotto di tratto in tratto da singulti spasmodici che mi agitavano la persona come scosse elettriche... Non saprei mai descrivere ciò che provavo nel veder Gella piangere per mia colpa: maledicevo il mio sospetto, e morsicandomi le labbra a sangue restavo là, inchiodato sul davanzale, col cuore che mi scoppiava in seno.

La luna cadeva sempre, nell’estremo orizzonte aperto, tinto di un lieve splendore roseo, sfumante su, su, in toni di un viola azzurrastro, argenteo, cinereo, e spirava la brezza dell’alta notte che portava fino a me il profumo dei mirti delle agavi biancheggianti nella pianura immensa