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bianco, un abito lungo, morbido, che la rendeva più alta e sottile: le maniche, larghissime dal gomito in giù, le cadevano all’ebrea lungo i fianchi eleganti, lasciando nuda parte delle sue braccia esili, ma ben fatte, e i capelli crespi, indomabili, le scendevano sulle spalle, metà a treccia ed il resto disciolti.

Il raggio della luna al declino, battendole sul viso, la rendeva così bianca, diafana e fantastica che io, benchè tanto mal disposto verso di lei, non potei non solo far a meno di confessarmi ch’era bella, ma rimasi estatico sul davanzale a contemplarla, come un’apparizione sovranaturale... Ma che faceva lì a quell’ora? Non mi ricordavo d’averla veduta mai così tardi al verone, e sapendola pochissimo entusiasta per gli incanti della notte, pensai che aspettasse qualcuno, rammentandomi repente che Gella era in un’età in cui una fanciulla bella è impossibile non abbia un innamorato.

Sì! Gella aspettava! Istintivamente sentii rinascere entro di me tutti i vecchi rancori contro mia cugina, o almeno qualcosa che qualificai per ciò. Ero poco profondo psicologo per accorgermi che invece ero geloso, forse anche prima di essere innamorato, e senza ben percepire la causa della mia subitanea indignazione, sembrandomi che Gella disonorasse la nostra casa con la sua legerezza di ragazza che parla di notte con un uomo, sentì il cervello offuscarmisi dolo-