Pagina:Racconti sardi.djvu/76


— 72 —

tenzioni o di quei dispetti effimeri abituali in persone che vivono sotto lo stesso tetto correvano fra me e Gella; e mentre nel villaggio si diceva che appena laureato avrei sposato mia cugina, neppure un barlume vago d’amore, neppure il minimo pensiero ci univa, noi che ci sedevamo ogni secondo, noi ch’eravamo diventati due bellissimi giovani; io bruno, elegante, rumoroso così che al mio arrivo mettevo tutto il villaggio in fermento; lei sottile, eterea, bionda, con gli occhi impenetrabili, dell’azzurro pallido ma ardente delle montagne calcaree che dominavano la nostra casa, la carnagione rossa vellutata, sulle guancie formanti due affascinanti fossette ogni volta che lei si degnava sorridere, sul collo, sulle orecchie piccine piccine e persino sulle mani. Vestiva sempre di bianco, in casa e per fuori: non un nastro, un gioiello, un solo filo di colore, mai e poi mai. Ed io, che odiavo il bianco, la chiamavo ironicamente Cassandra Fedele ma lei, al solito, non badava punto ai miei scherzi.



Una notte, assai tardi, nel chiudere la finestra della mia camera, vidi Gella nel verone del primo piano. Ritta, immobile, con le mani intrecciate sulla balaustrata, vestiva, come sempre di