Pagina:Racconti sardi.djvu/34


— 30 —

ferenza di Simona, la mia fidanzata che non dava segno di vita mentre io morivo lontano dal mio paese, morivo per causa sua e pensando a lei! È vero che anche gli altri miei parenti non si facevano vivi... ma io non badavo a loro, non pensavo a loro...

«Dopo una settimana cominciavo a sentirmi meglio e il medico mi disse che fra otto o nove giorni sarei stato in grado di ritornarmene al mio villaggio. Pensavo con dolore al cattivo esito del viaggio e al ritardo delle nostre nozze; il cavallo e le castagne non s’erano potute rinvenire, benchè Cosema avesse mandato il servo per la montagna. Una notte procellosa come quella in cui m’ero smarrito, allorchè sentii la porta della cucina aprirsi leggermente ed entrare una persona che sulle prime non distinsi bene.

«Poteva essere mezzanotte. Il vento romoreggiava sopra il letto e copriva ogni altro romore umano. Nel focolare il fuoco coperto di cenere mandava di tratto in tratto una fiammata azzurrognola che illuminava debolmente la cucina. A quel chiarore incerto credetti riconoscere Peppa nella persona entrata e pensai che venisse ad assicurarsi se stavo bene e se dormivo. Finsi di dormire, ma con gli occhi semi chiusi.

«La ragazza si avvicinò in punta di piedi al mio letto e si fermò, guardandomi a lungo, con gli occhi sfavillanti nella oscurità. Un tremito mi invase tutto, mio malgrado...