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«Quando mi volli levare, me lo impedì, dicendomi ch’ero malato e che il medico, chiamato la notte al mio letto, aveva ordinato di non lasciarmi non solo ripartire, ma neppure levare. — E restai! — Peppa, la serva, sopragiunta, mi diede una scodella di brodo e mi ripetè tutto ciò che la padrona mi aveva detto, compreso l’ordine del medico.

«Infatti il freddo e la febbre non tardarono a ricomparire; una febbre gagliarda che mi faceva ballare nel letto, che sconvolveva tutto a me intorno, in un vortice pazzo e vertiginoso. Rimasi così, tra la vita e la morte, per una settimana.

Nei lucidi intervalli pregavo Cosema di mandare a dire a Simona il mio stato per rassicurarla sulla mia tardanza, e la ragazza mi diceva sempre di sì, scongiurandomi a star tranquillo. — In quelle ore di sofferenza e di spasimo pensavo sempre a Simona, ma i miei occhi, il mio pensiero sconvolto dalla febbre vedevano Cosema, Cosema bella che andava di quà e di là per la cucina, in punta di piedi per non disturbarmi, che si chinava sovente sul mio letto, posandomi sulla fronte la mano bianca e fresca, che vegliava intere notti al mio capezzale, magnetizzandomi coi suoi occhi di bambina innocente e per ciò più pericolosa.

«Tutte quelle cure, quelle attenzioni che mi dava, senza quasi conoscermi, mentre destavano in me la più profonda delle riconoscenze, mi facevano pensare con dispetto alla strana indif-