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di ritornare qui. Ripiglieremo la nostra mercanzia e andremo a Fonni. Là giunti non c’è più che temere! Avanti, avanti!...

«Per un po’ il cavallo parve partecipasse alle mie idee e camminò, ma a un punto rallentò il passo e finì col fermarsi. Invano lo aizzai, lo carezzai, lo percossi; non si mosse più, ed io dovetti smontare e ripigliare il cammino a piedi, trascinando dietro, la povera bestia.

«Oh, che notte orrenda! — Il vento era cessato, ma la notte regnava folta e desolata sulle montagne e la neve cadeva, cadeva sempre. Una lieve luce bianca tramandata dal manto che copriva le rupi mi permettevano di non cadere in qualche precipizio, — ma a poco a poco i miei occhi si velavano, le gambe mi si intorpidivano sotto le ghette bagnate e tutto il mio corpo diventava freddo e inerte come la neve su cui mi trascinavo barcollando. Una volta, io e il cavallo, cademmo in un fosso; io mi rialzai a stento ma il cavallo non si mosse più ed io non pensai punto ad aiutarlo.

«Ripresi la via: ero interamente coperto di neve: grosse lagrime mi cadevano dagli occhi e finivano confondendosi con la neve che mi imbiancava la barba: le mani mi pendevano inerte e gelate sotto il pastrano freddo e pesante, e i piedi andavano, andavano, automaticamente, a caso, barcollando. E non un lume appariva nella notte, non una voce umana risuonava per l’orribile solitudine della montagna.