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mi credevo pratico dei luoghi, proseguii senza turbarmi, in linea retta, gli occhi fissi sull’orizzonte dove di tanto in tanto credevo scorgere il profilo di Fonni. Il vento urlava pazzo per le montagne e la notte piombava, ma la neve cadeva sempre... Cadeva sempre, ammucchiandosi sui miei passi, e nessuna anima viva interrompeva la solitudine selvaggia dei monti. Solo noi, io che cominciavo a perdermi d’animo, bagnato fino alle ossa, cominciando a credere d’essermi smarrito, giacchè Fonni non compariva più sul mio cammino, — e il povero cavallo che tremava tutto e non poteva più andare innanzi. — La neve ingrossava; per ogni passo occorreva un quarto d’ora, e le tenebre si facevano ognora più folte. Mi pentivo di non essermi fermato in un ovile incontrato mezz’ora prima che la neve cominciava e dove il pastore m’aveva invitato a passare la notte, pronosticandomi la vicina bufera, — e ad un tratto, disperato del tutto, pensai di dar volta e ritornarmene là. Decisi di salire anzi a cavallo, perchè m’era impossibile proseguire a piedi, ma siccome l’animale era estenuato più di me, così gravemente carico come si trovava, lo scaricai di tutta quella roba che, mal come potei, misi al sicuro sotto un albero, sperando di ritrovarla l’indomani, lo montai e via!

«Avanti! — dicevo amorevolmente al mio povero cavallino, — stanotte ci riposiamo laggiù e domani sorgerà un bel sole che ci permetterà