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stume del villaggio, e l’andava esaminando curiosamente, chiedendosi chi fosse e perchè fosse lì, legato, nel folto della notte.
Era un bell’uomo sulla quarantina, i capelli di un biondo rossastro ondeggianti sull’ampia fronte abbronzata, gli occhi grigi acutissimi, e con una magnifica barba rossa cadente sul petto.
Un’atroce espressione di spasimo gli sconvolgeva tutto il volto e sulla fronte gli brillavano, al riflesso del fuoco, grosse goccie di sudore, ma non era pallido come gli altri e specialmente come Simona.
Gabina certamente non percepì tutti questi particolari, ma comprese benissimo che là dentro, — nella cucina nera illuminata dal fuoco e da una specie di lampada a quattro becchi, di latta annerita dal fumo del lucignolo, posta sul forno e che andavasi spegnendo, — accadeva qualche cosa di misterioso, di straordinario; e incapace di darsi una qual siasi spiegazione, rimaneva muta, immobile dietro la porta, la fronte incastonata sulla fenditura, gli occhioni grigi, — che rassomigliavano assai a quelli dell’uomo legato alla sedia, — spalancati e avidi.
La piccina tremava di nuovo, — svanita la curiosità, la paura angosciosa di prima le gravava nuovamente sul cuore; e si domandava se tutto non fosse un brutto sogno.
Gelidi soffi di vento le percuotevano le spalle mal coperte; i suoi piedini, le sue mani, tutta la