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di tramontana che susurra tetre leggende e storie di sangue fischiando fra le gole dirupate e le grotte di granito. — Il sentiero asprissimo attraversa tortuoso le rupi immani e i macigni neri che assumono fantastiche forme di torri gotiche rovinate e di dolmen coperti d’edera e di rubi, reso più pericoloso e pittoresco dalla luce della notte. Sotto il bosco i raggi della luna piovono a fasci, come getti di diamanti, projettando aurei arabeschi e damaschinature orientali sulle felci bionde ondulate dal vento: attraverso le quercie brune il cielo lunato ha un aspetto così incantato coi suoi gemmei splendori che richiama al pensiero i cieli impossibili delle novelle da fate; e i ciclamini, i verbaschi, l’usnea dei tronchi impregnano l’aria d’un acuto profumo da foresta tropicale. — Oltre i tre cavalieri che attraversano il sentiero, neri, muti, avvolti nei loro cappotti bruni dal cappuccio a punta, come cavalieri erranti da epopea mediovale, un piccolo mandriano con la sua greggia popola ad un tratto la solitudine infinita delle montagne. Seduto sotto una rupe, insensibile al vento che fischia nel limpido plenilunio, guarda le pecore pascolanti nella notte chiara, intento al loro tintinnio monotono e melanconico vibrante fra i burroni erbosi e le pietre muscose, fra le eriche selvaggie e i tronchi divelti dalla procella.

Il piccolo mandriano è brutto, il volto oscuro come l’albagio del suo ferrajuolo, ma nei suoi