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salienti sino al vecchio maniero spagnuolo, la cui facciata di stile moresco rosseggia in viso all’ovest, gli spalti cadenti perduti fra gli splendori del cielo, come il ricordo della triste dominazione aragonese nella luce dei nuovi tempi. — Nella casetta più vicina al poggiuolo la porticina nera è chiusa, ma al di fuori sta appesa una corona di fichi diseccantisi e sul davanzale della finestruola un gatto dalla schiena tutta abbruciacchiata contempla solennemente sulla via, dove passa solo una donnina in costume, dal viso color di rame, allacciandosi bene il corsetto di panno giallo e di velluto viola cesellato. Dentro la stanzetta del poggiuolo un giovine, anch’esso in costume, piglia il caffè. Ha posato la chichera verde sulla cappa di una specie di vecchio camino, e ritto dando le spalle alla finestra, beve a centellini la prediletta bevanda.
È malato, ma sul suo viso biondo, pallidissimo, da convalescente, sta dipinta un’intima voluttà, il benessere di chi si riaffaccia pieno di speranza alla vita, dopo una lunga malattia. — Il letto di legno, dalle coperte di percalle a fiorami arabeschi, basso e duro ma con una fisionomia tranquilla, tipica, diremo quasi sonnolenta, le sedie grigie, il rozzo guardaroba rosso, la cassa nera di legno scolpito a strani fiori e animali antidiluviani, la tavola coperta da un tappeto bianco, adorna di vassoi e chicchere, tutto sorride intorno al giovine contadino convalescente,