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dusse all’ombra. Nania sembrava morta, tanto restava pallida e immota, ma quando Jorgi disse!

— Chi lo credeva, chi lo poteva pensare... tua madre... Nania si eresse, col volto infuocato e con gli occhi lucenti d’ira e di pianto e gridò!

— Mia madre è morta! Rispettala perchè era una santa. L’ingegnere mi ha baciato e mi ha abbracciato perchè io sono la sua amante... Uccidimi pure. Jorgi Preda, uccidimi, ma non cercare mia madre...

E cadde a terra, sciatando in pianto. Con quelle parole essa perdeva tutto. Perdeva l’amore di Jorgi che essa adorava con tutto l’entusiasmo dei suoi quindici anni, del suo primo amore — perdeva i suoi sogni e le sue dolci speranze — perdeva l’onore e forse metteva in pericolo la sua vita e quella dell’ingegnere — ma che importava? La memoria di sua madre — la cui colpa era ignota a tutti e specialmente a Gavinu Faldedda, che ancora la piangeva, adorandone il ricordo — veniva salvata dal suo sacrifizio...

Ma Jorgi Preda aveva veduto.

Per qualche momento restò immobile e silenzioso a guadare la piccola fanciulla seduta sull’erba, che piangeva sempre. I suoi singulti infantili, disperati si perdevano nel gran silenzio meridiano, e per l’immensa campagna dormiente Jorgi non udiva altro rumore.

E fu per fuggire, sentendosi vile e indegno davanti alla piccola Nania — ma naturalmente